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Il vescovo Claudio al Giubileo diocesano del lavoro: «Scegliamo i


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È con un grande sentimento di gratitudine che mi rivolgo a ciascuno di voi: a chi ha preparato questo incontro e a tutti coloro che hanno scelto di vivere qui – insieme – il Giubileo diocesano del lavoro.

Ringrazio il presidente di Interporto Luciano Greco e il direttore Roberto Tosetto, come pure il presidente del Parco Fenice Marco Ferrero e il direttore Andreas Spataros per l’accoglienza riservataci e per l’organizzazione in cui vi siete prodigati.

Come è bello incontrare una realtà come questa dove lavorano tanti giovani. Grazie per come mettete a frutto competenze, professionalità e passione!

Ringrazio i rappresentanti delle associazioni di categoria e dei sindacati: ogni anno collaborate alla realizzazione di questo appuntamento e offrite il vostro prezioso contributo per conoscere gli aspetti salienti dell’economia e della vita delle imprese.

Esprimo la mia riconoscenza anche ai testimoni delle tappe, che attraverso i loro racconti ci hanno caricati di fiducia riguardo alla possibilità

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–       di lavorare nel rispetto e in alleanza con l’ambiente;

–       di valorizzare i lavoratori e rispettare i loro diritti;

–       di promuovere la legalità e la giustizia;

–       di porre l’innovazione e la tecnologia a servizio del bene di tutti.

Attraverso le tappe di questo nostro piccolo pellegrinaggio abbiamo compreso come il lavoro abbia bisogno della conversione di ciascuno per essere un lavoro dignitoso e produttore di benessere. Certo a ciascuno la sua responsabilità, differente per ruoli e gradi, ma la propria non va mai delegata. La trasformazione dei sistemi economico e finanziario in strumenti di equità, ricchezza diffusa e sostenibilità ha bisogno di esperienze concrete che con tenacia vadano contro corrente e diventino segni profetici.   

La presenza di imprese sane garantisce la prosperità dei luoghi e delle comunità: l’attività lavorativa non è aspetto secondario, ma è anzi essenziale all’esistenza e alla qualità di vita delle società.

Trovo doveroso coltivare un senso di riconoscenza nei confronti dei tanti imprenditori onesti che hanno a cuore i loro collaboratori, che lavorano accanto a loro per portare avanti l’impresa, rischiano e investono i loro capitali per garantire ambienti e procedure sicure e un lavoro rispettoso della dignità dei lavoratori, volto a realizzare prodotti e servizi utili al benessere della creazione e delle persone.

È triste constatare che costoro sono spesso penalizzati da politiche e normative che imponendo fardelli burocratici e cavillosi controlli, favoriscono gli speculatori. L’imprenditore non va confuso con lo speculatore, che è piuttosto l’emblema di un’economia spietata e senza volti. Questa economia va temuta e osteggiata. Auspichiamo invece che l’impresa venga messa nelle condizioni di essere una reale ricchezza per quanti lavorano al suo interno, per la filiera che coinvolge nella sua produzione e vendita, per il contesto in cui è inserita. Gli imprenditori vanno incoraggiati e sostenuti nella creazione di lavoro.

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Questo è il punto focale, perché è attorno al lavoro che si edifica l’intero patto sociale. Quando non si lavora, o si lavora male, si lavora poco o si lavora troppo, si infrange il patto sociale e non è solo l’economia che entra in crisi, ma anche l’impianto democratico nel suo insieme.

I segnali del mercato del lavoro sono vari e discordanti tanto che da un lato le aziende non trovano personale con le necessarie competenze e dall’altro giovani disoccupati non hanno i requisiti adatti; da un lato il dato statistico sulla disoccupazione è ottimista e dall’altro dietro a persone formalmente occupate c’è un lavoro povero e fortemente precario.

Dal confronto con le associazioni di categoria e i sindacati è emerso il dramma del lavoro povero, dello sfruttamento e dell’illegalità. Aspetti che danneggiano i lavoratori e compromettono la qualità e la competitività delle imprese e dell’intero sistema economico.

Ringrazio gli attori economici, politici e sociali che si prodigano nell’istituzione di protocolli d’intesa e patti territoriali per la legalità. L’azione repressiva va rafforzata con quella preventiva che vi impegnate a svolgere attraverso la formazione e il monitoraggio dell’attività privata e degli appalti pubblici.

La legalità sul lavoro è frutto di una sinergia sociale che va ben oltre l’impresa e ci richiama tutti alle nostre responsabilità, anche di consumatori; quando per esempio pretendiamo di sottopagare i prodotti e i servizi che utilizziamo senza preoccuparci su chi ricade il prezzo del nostro risparmio.

Ostacolare le procedure di regolamentazione delle persone immigrate, la loro integrazione e la possibilità di trovare alloggio oltre a essere una grave discriminazione è un regalo all’illegalità e una minaccia alla tenuta sociale ed economica dell’intero Paese.

Non possiamo tacere di fronte:

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–       all’incremento di presenze criminali nella proprietà delle nostre aziende;

–       allo sfruttamento di persone sottopagate in particolare donne, giovani e stranieri;

–       al lavoro illegale e al persistere del caporalato in particolare nell’economia, nell’edilizia e nella logistica.

Non tutti i lavori sono buoni: ci sono ancora troppi lavori cattivi e senza dignità, da quelli che non rispettano i diritti dei lavoratori e dell’ambiente a quelli di chi è pagato molto ma non ha limiti d’orario. Anche questa è una forma di schiavitù, che toglie dignità alla persona. I tempi del riposo, le ferie, il tempo libero non sono privilegi, ma diritti che vanno preservati per ogni lavoratore: dal dirigente al tirocinante, dal lavoratore autonomo al dipendente, agli imprenditori.

Questa distorsione si lega alla pressione della competizione all’interno dell’impresa, ma questo è un errore antropologico ed economico. L’impresa è prima di tutto cooperazione, mutua assistenza, reciprocità. Quando un’impresa crea un sistema di incentivi individuali che mettono i lavoratori in competizione fra loro finisce per minare il tessuto di fiducia che è l’anima di ogni organizzazione. Anche nella logica della “meritocrazia” propria del capitalismo moderno vedo il rischio della legittimazione etica della diseguaglianza.

Di fatto i talenti delle persone sono un dono e non un merito.

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Il lavoro rappresenta una grande possibilità per un’alleanza sociale generatrice di speranza se recupera la dimensione comunitaria in cui ciascuno fa la sua parte. Siamo tutti membra di un solo e stesso corpo, direbbe san Paolo.

Ecco che guardando ai temi caldi di oggi nel contesto del lavoro:

–       la politica è chiamata a favorire tavoli di discussione tra le parti sociali per il riconoscimento salariale;

–       i sindacati possono trovare unità di intenti nel ricercare la sicurezza degli ambienti di lavoro, il bene dei lavoratori e delle loro famiglie;

–       gli imprenditori possono valorizzare la dimensione comunitaria dello spazio-tempo lavorativo grazie a un dialogo costante con i propri collaboratori;

–       e i lavoratori, di fronte alle continue innovazioni e sfide tecnologiche, possono valorizzare e aggiornare la loro esperienza attraverso la formazione permanente.

Se pensiamo ai contesti formativi di tutti i livelli – scuole, università, formazione professionale – c’è bisogno di un’attenzione continua a una preparazione che porti a reali sbocchi lavorativi. Così pure le agenzie educative e noi Chiesa abbiamo il compito di formare al senso profondo del lavoro, come luogo di dignità, di crescita umana, di valorizzazione dei propri doni, di costrizione di una società che presta attenzione al bene comune. 

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In questa ottica e con lo sguardo attento alle delicate situazioni internazionali sorgono alcune domande.

Mi chiedo se di fronte alle sfide della transizione ecologica e alle esigenze di una riorganizzazione della difesa, la conversione bellica di gran parte delle produzioni delle nostre aziende sia la strada sicura – e giusta – per la sostenibilità delle nostre imprese.

La legge della deterrenza, che ha portato alla terza guerra mondiale a pezzi, può ancora dirsi garanzia della sicurezza tra le parti?

Il Giubileo che stiamo vivendo ci chiede di saper immaginare alternative possibili e rispettose dell’umano che superino le mere logiche del profitto e del potere.

Quanto sarebbe bello e segno concreto di speranza se l’imprenditoria, la cooperazione, le istituzioni del Nordest – “locomotiva d’Italia” – potessero offrire alternative al ricatto della finanza e dell’economia di guerra!

Questo Anno Santo ci solleciti a uno scatto di protagonismo e al coraggio di osare il bene senza compromessi!

Un’economia che si concentra sulla guerra, e per altro senza una politica di difesa comune, preclude la costruzione della pace, che è bene comune.

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Infatti, se vogliamo combattere per la pace, penso ci sia:

–       una minaccia di cui dobbiamo prenderci cura ed è quella della crisi ambientale;

–       una difesa da realizzare ed è quella sanitaria;

–       un arsenale da accrescere ed è quello dei giovani e della loro formazione culturale e professionale.

È così che genereremo occupazione e lavoreremo tutti nell’impresa della pace e della giustizia sociale.

Scegliamo insieme la profezia dei pellegrini di speranza!

 

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+ Claudio Cipolla, vescovo





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