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Pay or ok, il Garante privacy cerca una nuova soluzione per l’editoria digitale


Al via la consultazione pubblica sul “pay or ok” o “pay or consent” o “consent paywall”. Chiamiamolo come più ci piace, ma la sostanza non cambia: paghi o dai il consenso al trattamento dei tuoi dati personali.

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Così la nostra Autorità garante per la protezione dei dati personali ha deciso rendendolo noto con un comunicato stampa del 5 maggio 2025.

L’obbiettivo è chiaro: valutare in corale la liceità del consenso per trattamenti di profilazione raccolto da diversi titolari, in primis dagli editori di giornali, attraverso l’adozione di questo metodo che impone agli utenti, al fine di poter accedere ai contenuti, servizi o funzionalità/offerte online, di scegliere se sottoscrivere un abbonamento a pagamento oppure acconsentire al trattamento dei propri dati personali, tramite cookie e altri strumenti di tracciamento. Il tutto per la finalità di profilazione.

Pay or ok: il metodo nella sua essenza

Il metodo “pay or ok” rappresenta una pratica assai diffusa e che possiamo riassumere nel meccanismo di “consenso o pagamento”. Se non si opziona nulla, l’accesso ai siti viene bloccato e così fine della user experience dell’utente.

Si tratta, quindi, di un modello di business adottato da diversi editori di giornali e siti web il quale impone agli utenti, per poter (continuare a) navigare su internet di scegliere tra:

  1. sottoscrivere un abbonamento a pagamento;
  2. acconsentire al trattamento dei propri dati personali tramite cookies e altri strumenti di tracciamento.

La non scelta non esiste, e blocca – come detto – lo stare su quel sito.

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Consultazione pubblica sul pay or ok: a chi si rivolge, quando scade

La scelta della “consultazione pubblica”, spiega Agostino Ghiglia, uno dei componenti del Collegio del garante privacy, perché si “vuole evitare un approccio meramente sanzionatorio da parte dell’Autorità, che rischierebbe di compromettere l’attuale modello di mercato degli editori e degli altri titolari coinvolti senza offrire una valida alternativa in grado di bilanciare adeguatamente le esigenze economiche dei settori interessati, la libera circolazione dell’informazione e il diritto fondamentale alla protezione dei dati personali”.

Una sorte di compromesso tra i vari interessi in gioco.

L’intento è chiaro: “raccogliere contributi utili a individuare soluzioni tecniche e operative – come modelli alternativi di accesso ai contenuti – in grado di garantire agli utenti il rispetto dei principi di libertà, specificità e consapevolezza del consenso”.

A chi si rivolge

La consultazione è poi rivolta a tutti i portatori di interessi, incluse imprese, consumatori, esperti, associazioni, professionisti, accademia e cittadini, come da avviso.

Ancora, come si legge nel comunicato, i contributi inviati dai partecipanti alla consultazione “non precostituiscono alcun titolo, condizione o vincolo rispetto ad eventuali successive determinazioni del Garante che, ricevuti e esaminati tali contributi, potrà invitare taluni dei partecipanti a uno o più incontri pubblici o privati per discutere le questioni oggetto della consultazione”.

Quando scade

I contributi dovranno pervenire all’Autorità, preferibilmente alle caselle di posta elettronica: protocollo@gpdp.it oppure protocollo@pec.gpdp.it, entro 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’avviso di consultazione pubblica, indicando nell’oggetto: “Consultazione pubblica sul modello “pay or ok”.

Pay or ok: le questioni oggetto di consultazione

Questa pratica è controversa dal punto di vista privacy, in quanto solleva molti dubbi sulla possibilità di considerare il consenso liberamente prestato dall’utente.

Infatti, i più – pur di accedere gratuitamente ai contenuti – acconsentono al trattamento dei loro dati senza comprendere appieno le conseguenze delle loro scelte.

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Di qui, è nata l’esigenza di aprire una consultazione pubblica per valutare “la liceità di questo metodo e raccogliere contributi utili a individuare soluzioni tecniche e operative alternative che possano garantire agli utenti il rispetto dei principi di libertà, specificità e consapevolezza del consenso” si legge nel comunicato.

I tre quesiti

Nel provvedimento di delibera leggiamo ben esplicitate le tre questioni (A- B e C) e cioè se la pratica in parola sia:

  1. compatibile con le finalità e la disciplina in materia di consenso al trattamento dei dati personali dal consenso libero e consapevole, indispensabile “quale valida alternativa al perfezionamento di un contratto a titolo oneroso che implichi la corresponsione di un correspettivo economico” e quindi acconsenti o paga;
  2. quali alternative possibili a questo schema-binario “pay or okay” possono individuarsi in considerazione di un minor impatto in termini di “compressione del diritto alla privacy degli interessati”, in linea di continuità con il parere negativo dell’EDPB dato nell’aprile 2024, come pure nella recente pronuncia della Commissione europea che nel ritenere che Apple e Meta violino il DMA (la legge sui mercati digitali), ecco che attraverso questa consultazione pubblica si dovrebbe trovare un metodo alternativo che implichi un trattamento meno pervasivo di dati personali;
  3. quali soluzioni siano idonee a garantire all’utente/interessato consapevolezza e “piena prevedibilità degli effetti dell’eventuale prestazione del consenso” in linea con la ratio della disciplina del consenso prestato che deve essere peraltro libero e specifico, anche debitamente informato.

Pay or ok e la consultazione pubblica: i dubbi

L’aver indetto una consultazione pubblica su questo tema genera non pochi dubbi a parere degli esperti e anche di chi scrive.

Anzitutto, sul primo quesito l’EDPB è già stato chiaro l’anno scorso, prendendo una netta posizione circa l’invalidità del consenso al trattamento dati personali ai fini di pubblicità comportamentale nel contesto dei modelli di “consenso o pagamento”, adoperato dalle grandi piattaforme online, decretando quindi uno stop a questo modus operandi. Perché riproporre a livello nazionale?

In secondo luogo, perché andare a cercare una forma alternativa di questa manifesta pratica illecita, con una consultazione pubblica che ai successivi quesiti (B e C) lascia già intravedere forti dubbi sulla possibilità che comunque una via alternativa rischierebbe pur sempre di avere un consenso in forma aggregata e quindi già di per sé senza adeguate condizioni a priori volte a garantire all’utente/interessato una prevedibilità delle conseguenze alle sue scelte, con l’aggravante ulteriore di perdere in quel modo l’effettivo controllo sui propri dati personali.

Una nuova soluzione per l’editoria digitale?

Sarà interessante vedere cosa ne uscirà, ammesso che ne verremo a conoscenza, e chissà tra quanto tempo.

Certamente, al di là degli scetticismi, è indiscusso che da un lato ci sia il diritto degli utenti di “opt-out” senza dover acconsentire ai cookie non necessari e dall’altro sussista l’interesse dei giornali e dei siti intenti a monetizzare, pur sembrando due interessi tra loro confliggenti.

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Quindi, può anche essere positiva questa iniziativa purché effettivamente persegua il giusto compromesso a tutela di ambo le parti e a garanzia del supremo diritto all’informazione. Non a caso in un post al riguardo Agostino Ghiglia lo intitola “PAY OR OK PUÒ NON ESSERE O LA BORSA O LA VITA (I DATI)?”. Non dimentichiamoci, però, che il sistema di “pay or okay” (o qualcosa di analogo che magari emergerà dagli esiti della consultazione in parola, salvaguardando ogni interesse in gioco) rischia di segnare la fine del consenso “liberamente prestato”.



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