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OLTRE I DAZI/ I guai dell’Ue tra difesa, Green Deal e Cina


Donald Trump non esclude che questa settimana possano essere raggiunti accordi commerciali con alcuni Paesi bersaglio dei dazi reciproci introdotti lo scorso 2 aprile. E sembra anche intenzionato a introdurre una tariffa del 100% sui film prodotti all’estero e distribuiti negli Stati Uniti.

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Non è, quindi, facile capire quale piega prenderanno i negoziati con l’Ue, che saranno senz’altro complessi di fronte, come evidenzia l’ex direttore del Sole 24 Ore Guido Gentili, «all’imprevedibilità del Presidente americano. In questo senso, abbiamo anche visto, al di là dei dazi, che nei confronti dell’Ucraina la posizione di Trump sembra essere cambiata rispetto a quella di qualche settimana fa».



Un accordo tra Washington e Bruxelles si riuscirà a trovare prima di luglio?

È davvero difficile fare previsioni in merito. La mia sensazione è che le pressioni interne cui è sottoposto il Presidente degli Stati Uniti, da parte anche del mondo finanziario, lo abbiano in qualche modo convinto a essere più cauto. Ritengo, quindi, che ci penserà bene prima di affondare ancora dei colpi sul terreno dei dazi.


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L’incertezza intanto sta avendo effetti sull’economia, come si è visto dalle previsioni di Fondo monetario internazionale e Standard & Poor’s. L’Ue sembra, tuttavia, non avere sul tavolo strumenti per spingere la crescita. Anche per quanto riguarda il piano di riarmo solo 16 Paesi, tra cui non figurano Francia, Italia e Spagna, sembrano voler ricorrere alla clausola di salvaguardia nazionale prevista dal Patto di stabilità.

Stanno riemergendo le difficoltà che purtroppo conosciamo da tempo relative alle differenti visioni e sensibilità all’interno dell’Ue, riscontrabili non solo sul fronte delle spese nella difesa. Ce ne siamo un po’ dimenticati, ma anche sulla revisione del Green Deal, infatti, ci sono delle divisioni, tant’è che non se ne parla più.



D’altro canto quel che è successo in Spagna la scorsa settimana ci dice che la transizione energetica va ben gestita per evitare conseguenze problematiche. Complessivamente l’immagine è quella di un’Europa che resta alla finestra, quando invece dovrebbe giocare un ruolo da protagonista, visto che la crescita resta asfittica e le previsioni non sono confortanti.

In questo senso gli investimenti che dovrebbe essere presto varati dalla Germania, visto l’imminente insediamento del nuovo Governo, potrebbero essere d’aiuto?

Il piano di investimenti è molto ambizioso e i tedeschi hanno già dimostrato in passato di essere in grado di realizzare gli obiettivi che si pongono. Tuttavia, non mi farei grandi illusioni: non credo che gli effetti degli investimenti potranno essere visibili già entro la fine dell’anno, come del resto sembrano indicare le previsioni del Fmi che parlano di crescita zero per la Germania.

Il discorso cambia se si guarda al medio termine: gli investimenti potranno dispiegare i loro effetti e consentire anche a Berlino di recuperare una centralità in Europa che sembrava perduta.

Bruxelles dovrà anche affrontare un problema relativo ai rapporti con Pechino, visto il rischio che, precluso il mercato americano, le merci cinesi a basso costo si riversino sull’Europa?

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Questo per l’Ue è forse un problema ancora più serio dell’imprevedibilità di Trump, anche perché sappiamo quali sono le scelte di politica estera della Cina, che resta al fianco della Russia. D’altro canto se le trattative con gli Usa non dovessero avere uno sbocco positivo per Bruxelles sarebbe importante dialogare con Pechino, anche perché fornisce molti dei materiali necessari alla transizione green. Se, però, i negoziati con Washington avessero un esito positivo, l’Ue dovrà essere molto prudente nel rapportarsi con il gigante asiatico.

Cosa si potrà fare, invece, in Italia per spingere la crescita? Il Presidente di Confindustria Orsini ha chiesto al Governo un piano industriale per il Paese, ma non ci sono molte risorse da poter mettere in campo.

In effetti già sul Decreto bollette, contestato da Confindustria, il Governo ha spiegato di ritenere di aver fatto quello che al momento è possibile. Quindi, non c’è da aspettarsi che si possano mettere in campo chissà quali sostegni. Certo è che una mossa che si potrebbe compiere, visto che Transizione 5.0 continua a funzionare poco, sarebbe quella di incentivare gli investimenti produttivi delle imprese con uno strumento simile a Transizione 4.0.

Non credo sarebbe un provvedimento molto oneroso, ma, oltre che una misura utile, rappresenterebbe un segnale di attenzione per l’industria. Più in generale ritengo comunque che sarebbe necessario un atteggiamento più proattivo, e non solo rivendicativo, delle parti sociali, specie per affrontare la questione salariale.

Cosa potrebbero fare le parti sociali su questo fronte?

Non è coi sussidi, né con il salario minimo che si può risolvere il problema dei bassi stipendi. Imprese e sindacati dovrebbero cominciare a dialogare meglio tra loro sulla contrattazione, sullo sviluppo del welfare aziendale e anche per trovare modalità per andare incontro alle esigenze abitative dei lavoratori. In questo potranno coinvolgere anche il Governo per arrivare magari anche a un patto complessivo che miri all’aumento della produttività e, conseguentemente, dei salari.

In generale vedo delle parti sociali poco dinamiche e non ci si può certo aspettare che sia solo lo Stato a risolvere tutti i problemi. Vedremo se dopo i referendum di giugno, che vedono parte dei sindacati impegnati politicamente, la situazione cambierà.

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(Lorenzo Torrisi)

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