Dal 1 maggio terminate le esenzioni «de minimis» per pacchi sotto gli 800 dollari: Temu ha bloccato del tutto le spedizioni dalla Cina agli Stati Uniti, Shein ha già aumentato significativamente i prezzi. E in Europa?
I dazi di Trump potrebbero mettere la parola fine a quella che negli ultimi anni negli Stati Uniti (ma anche in Italia) era diventata una vera e propria mania: lo shopping compulsivo ultra low-cost, guidato da siti cinesi notissimi (e controversi) come Temu e Shein. La fine dell’esenzione doganale americana per le spedizioni di basso valore provenienti dalla Cina, scattata il 1 maggio, ha innescato immediate reazioni. La più radicale è quella di Temu: ha annunciato che interromperà completamente la vendita diretta di merci spedite dalla madrepatria verso gli Stati Uniti, affidandosi (per quanto possibile e finché ci saranno merci in magazzino) a venditori locali per soddisfare gli ordini.
Questo cambiamento segna un punto di svolta radicale per la piattaforma, controllata da PDD Holdings, proprietaria anche di Pinduoduo, che fino al 30 aprile aveva sfruttato ampiamente la cosiddetta regola «de minimis» per mantenere prezzi estremamente competitivi. La norma, cancellata dall’amministrazione Trump, permetteva di importare negli Stati Uniti prodotti di valore inferiore agli 800 dollari senza pagare dazi. Secondo alcune stime, come quella DI American Action Forum, questa modifica normativa potrebbe comportare costi aggiuntivi annuali per i consumatori compresi tra gli 8 e i 30 miliardi di dollari, gravando direttamente sui prezzi finali.
Shein, altra grande piattaforma cinese che aveva beneficiato della stessa esenzione, ha reagito diversamente: pur non interrompendo esplicitamente le spedizioni dalla Cina, ha già aumentato significativamente i prezzi, con balzi fino al 150% su alcuni prodotti (qui la nota dell’azienda). I social si sono riempiti di post che mostravano come i costi doganali per acquisti dalla Cina fossero, in alcuni casi, significativamente superiori al prezzo dell’oggetto stesso.
I numeri di Temu e Shein
Secondo alcune statistiche del 2024, negli Stati Uniti Temu conta circa 185,6 milioni di utenti attivi a livello mensile e spedisce circa 1 milione di pacchi al giorno. Numeri più ridotti ma comunque significativi per Shein, che ha circa 17,3 milioni di utenti attivi/mese negli Usa (con 46,9 milioni di visitatori unici registrati nel complesso, dato di giugno 2024).
A livello globale, Temu spedisce oltre 1,6 milioni di pacchi al giorno (circa 584 milioni all’anno), mentre Shein spedisce un volume complessivo leggermente superiore.
Le nuove tariffe
L’aumento delle tariffe doganali sarà particolarmente pesante: i pacchi provenienti dalla Cina e da Hong Kong subiranno dazi del 145% se spediti tramite corrieri come FedEx e DHL, e un’imposta del 120% o una tariffa fissa che partirà da 100 dollari per spedizioni postali, destinata ad aumentare a 200 dollari a partire da giugno. A questo si aggiunge una stretta sui controlli doganali, legato principalmente alla volontà americana di individuare componenti chimici utilizzati nella produzione di droghe sintetiche, come il fentanyl. Come ha sottolineato Kate Muth, direttore esecutivo dell’International Mailers Advisory Group, parlando con l’agenzia Reuters, «il rischio di creare ulteriori colli di bottiglia nei controlli doganali è reale», sebbene le autorità sostengano di essere pronte a gestire la nuova situazione senza ritardi significativi.
Per i due colossi dell’ecommerce cinese, che erano cresciuti così tanto da costringere Amazon a correre ai ripari creando un sito con prodotti simili a prezzi stracciati chiamato Haul, la situazione è particolarmente complessa, se i dazi Usa-Cina non torneranno a livelli più gestibili.
Spostare la produzione fuori dalla Cina risulta complicato, vista la centralità della regione del Guangdong e di Guangzhou nella catena produttiva e logistica delle due società. I modelli di business delle due aziende tagliano fuori grossisti, distributori e rivenditori tradizionali: Shein produce direttamente (tramite terzi) e vende al cliente, Temu mette invece in contatto diretto produttore-venditore e cliente. Economie di scala, logistica ottimizzata e (molti) compromessi su qualità dei prodotti e rispetto di norme e certificazioni fanno il resto, permettendo ai due colossi di vendere a prezzi irrisori. Ora il modello barcolla, almeno negli Usa.
E in Europa e in Italia?
Tutta questa situazione, al momento, chiama in causa soltanto gli Stati Uniti. Collegandosi alle versioni italiane di Temu e Shein, tutto è normale, con la solita infinita di oggetti venduti a prezzi irrisori (sulla versione Usa di Temu invece è in bella vista un banner che dice «nessuna tassa per tutti i magazzini locali»). Le due aziende, vista la situazione oltreoceano, potrebbero accelerare la spinta del marketing in altri mercati, come quello Europeo. Ma anche l’Ue ha già acceso i riflettori regolamentari sull’ecommerce made in China.
Attualmente, queste piattaforme sono soggette al Digital Services Act (DSA), che impone obblighi di trasparenza e responsabilità, e la Commissione Europea ha avviato indagini per verificare il rispetto delle norme, in particolare sulla sicurezza dei prodotti e la trasparenza delle pratiche commerciali.
Inoltre ci sono diverse proposte in discussione: la più rilevante è quella di abolire l’esenzione doganale per pacchi di valore inferiore a 150 euro, una misura che favorirebbe la leale concorrenza e aumenterebbe la tracciabilità dei prodotti. Si discute anche l’introduzione di una tassa di gestione su ogni pacco importato, che potrebbe incidere sui costi finali per i consumatori, e dell’inasprimento dei controlli doganali, con l’obbligo per i marketplace di fornire informazioni dettagliate sui prodotti importati.
Altra ipotesi è quella di riconoscere i marketplace come «operatori economici», rendendoli legalmente responsabili per i prodotti venduti da terzi, aumentando così la tutela dei consumatori.
Alcune di queste norme potrebbero essere adottate nel corso del 2025.
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