In un contesto internazionale complesso e segnato dall’incertezza normativa, i fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) sono ormai parte integrante della strategia aziendale. L’attenzione di investitori, regolatori, consumatori e lavoratori impone rigore nella misurazione e comunicazione della sostenibilità e un sistema di governance adeguato. Da una ricerca di Deloitte Italia su 36 società quotate, che rappresentano circa 700 miliardi di euro di capitalizzazione, emerge come le informazioni non finanziarie stiano diventando centrali nell’informativa complessiva. Stando all’ Osservatorio privilegiato della società di consulenza, la rendicontazione di sostenibilità è sempre più percepita dalle imprese non soltanto come esercizio di compliance, ma come strumento di indirizzo strategico, con implicazioni dirette sulla governance, sull’integrazione dei sistemi di reporting e sul rafforzamento dei controlli interni.
“La Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) ha contribuito a ridefinire ruoli e responsabilità all’interno delle organizzazioni, valorizzando la funzione del CFO nella supervisione dell’informativa ESG e promuovendo una crescente convergenza tra dati finanziari e non finanziari” dichiara in questa intervista, Valeria Brambilla, AD di Deloitte & Touche, illustrando i principali trend emersi nel primo anno di applicazione della direttiva europea sulla rendicontazione di sostenibilità.
Secondo l’ad, la recente approvazione del “Pacchetto Omnibus”, che ha posticipato alcuni obblighi della CSRD, apre oggi una nuova fase di opportunità: non un invito al disimpegno, quindi, ma una possibilità di prepararsi con maggiore consapevolezza. Anche perché, ricorda Brambilla, la domanda di trasparenza da parte di investitori e mercati continuerà a crescere, indipendentemente dagli obblighi normativi.
E per quanto riguarda il settore agroalimentare, le sfide sono ancora più complesse: dai rischi climatici che impattano sulla produzione, ai temi sociali legati alla tutela del lavoro agricolo e alla salute dei consumatori. In questo scenario, il reporting di sostenibilità diventa non solo una necessità, ma un fattore competitivo cruciale per il futuro.
Dal vostro osservatorio privilegiato avete avuto modo di analizzare i primi bilanci pubblicati secondo quanto previsto dalla Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD. Quali evidenze emergono?
L’esperienza maturata in questo primo anno di implementazione della CSRD, per le società quotate, conferma che la rendicontazione dei temi connessi alla sostenibilità non è percepito come esercizio di compliance, ma come strumento utile per la realizzazione della strategia, del posizionamento e della comunicazione aziendale. Gli aspetti ritenuti primari dalle imprese per il reporting di sostenibilità riguardano tre dimensioni: governance, integrazione tra funzioni e sistemi di controllo interno.
In primo luogo, è emersa con chiarezza l’opportunità derivante dalla CSRD di ripensare la governance aziendale, accrescendo il ruolo dei fattori ESG – Environmental, Social e Governance – nella strategia e nei piani di medio-lungo periodo aziendali, nonché l’integrazione tra elementi finanziari ed elementi non finanziari per l’analisi dei rischi e delle opportunità d’impresa. Da questo deriva la crescente centralità del CFO nella supervisione e redazione della rendicontazione di sostenibilità, che costituisce oggi parte integrante della reportistica annuale delle aziende soggette a CSRD e non solo. Da una survey che abbiamo condotto su 36 aziende quotate, rappresentanti circa 697 miliardi di euro di capitalizzazione di mercato, circa 4 aziende su 5 scelgono di assegnare la responsabilità dell’informativa di sostenibilità all’area finance, un dato che riflette la progressiva convergenza tra reporting finanziario e ESG.
In secondo luogo, si osserva un rafforzamento delle sinergie tra i team Finance e Sustainability, con un graduale superamento delle logiche di reporting parallele a favore di flussi informativi integrati. Questo cambiamento conferma un cambio di rotta, verso una nuova narrazione aziendale, dove le performance ESG non sono più un capitolo a parte, ma parte integrante della creazione di valore.
Infine, emerge una grande sfida, rappresentata dalla necessità di rafforzare i sistemi di controllo interno sulle informazioni di sostenibilità. Mentre i sistemi di controllo interno in ambito finanziario risultano consolidati, quelli relativi ai dati non finanziari sono ancora in fase di costruzione. Questa necessità rappresenta un’area in cui si concentreranno gli investimenti futuri sia in termini di processi, che di tecnologie e competenze.
Dopo questo primo anno di reporting, quali sono i benefici di questa Direttiva? E quali le principali sfide per il futuro?
La CSRD si sta dimostrando un acceleratore di trasformazione culturale e organizzativa. Tra i principali benefici, va evidenziata l’evoluzione del processo di misurazione dei temi non finanziari verso una maggiore trasparenza, tracciabilità e affidabilità, elementi sempre più richiesti dagli investitori e dai mercati internazionali. L’obbligo di integrare i dati di sostenibilità nel bilancio annuale sta spingendo le imprese verso una maggiore accountability, riducendo il rischio di greenwashing e promuovendo una gestione più strategica degli impatti ambientali e sociali, nonché di rischi ed opportunità connessi a questi aspetti.
Inoltre, si osserva una crescente diffusione di competenze ESG trasversali all’interno delle aziende, favorita dal già citato rafforzamento del dialogo tra funzioni aziendali tradizionalmente separate. Questo favorisce un approccio più sistemico alla sostenibilità, capace di incidere sulla cultura organizzativa e sulle decisioni di medio-lungo periodo.
Le principali sfide per il futuro si concentrano su quattro direttrici. La prima riguarda la necessità di definire un purpose aziendale chiaro e autentico, capace di rafforzare ulteriormente l’integrazione degli elementi di sostenibilità nella strategia di business, anche grazie alla definizione di obiettivi ESG misurabili. La seconda è legata allo sviluppo di competenze specialistiche e di pensiero integrato, indispensabili per affrontare la complessità del reporting e della normativa di riferimento. La terza è il rafforzamento dei processi interni di raccolta e controllo interno dei dati, elemento fondamentale per favorire la quarta ed ultima direzione per il futuro del reporting: la costruzione di un sistema di rendicontazione credibile e rilevante per tutti gli stakeholder, capace di generare fiducia e legittimazione nel tempo, abbracciando tanto le performance finanziarie, quanto quelle di sostenibilità.
Il Pacchetto Omnibus ha aperto una nuova fase per le aziende, limitando gli obblighi della CSRD alle aziende di grandissime dimensioni. Cosa rappresenta questo cambiamento per le imprese?
Il Pacchetto Omnibus ha posticipato l’entrata in vigore della CSRD per le aziende di grandi dimensioni non quotate, escludendole quindi dagli obblighi immediati di rendicontazione. Questo cambiamento rappresenta, per molti, una tregua normativa che consente di guadagnare tempo per adeguarsi alle numerose richieste informative definite dalla stessa Direttiva.
In attesa che vengano approvate o modificate anche le proposte di revisione delle soglie dimensionali per l’applicazione della CSRD (altro elemento chiave del Pacchetto Omnibus ancora in discussione), crediamo che questa dilazione temporale debba essere colta non tanto come opportunità per un disimpegno, ma quanto come un’opportunità per meglio organizzarsi.
Il mercato, gli investitori e gli istituti di credito continueranno a richiedere trasparenza sulle performance ESG, indipendentemente dagli obblighi normativi. Le imprese che hanno già avviato o sceglieranno di avviare un percorso volontario di reporting di sostenibilità, anche se non obbligate, potranno posizionarsi in anticipo come attori credibili, responsabili e pronti alla competizione internazionale.
Inoltre, molte aziende più piccole operano come fornitori di realtà soggette alla Direttiva, e saranno comunque coinvolte indirettamente in processi di raccolta e comunicazione dei dati ESG. Non dobbiamo infatti dimenticare che la CSRD richiede alle grandi aziende di pubblicare non soltanto le informazioni ESG sul proprio perimetro di riferimento, ma anche sull’intera catena del valore, determinando impatti a cascata sulle piccole e medie imprese di filiera.
In questo senso, il decreto non annulla la necessità di attrezzarsi, ma ridefinisce i tempi di una transizione che resta comunque inevitabile. La sfida sarà quella di interpretare questa fase non come un rinvio, ma come un’occasione per costruire competenze, rafforzare la governance e prepararsi a una sostenibilità autentica e strutturata, quanto più possibile integrata al business.
Pensando alle imprese del food, ritiene esistano sfide peculiari da attenzionare, in relazione a questi aspetti e al reporting di sostenibilità?
Il settore agroalimentare presenta caratteristiche distintive che rendono il reporting di sostenibilità particolarmente complesso e comunque strategico, al di là di ogni obbligo normativo per i motivi prima rappresentati.
Il settore, per esempio, è particolarmente interessato dal climate change non solo come fattore di output, pensando quindi alla grande influenza che la produzione o l’impresa genera nel sistema; ma anche come fattore di input, se pensiamo per esempio alla rilevanza del cambiamento climatico sulla produzione delle derrate alimentari e quindi sul prezzo e sulla qualità della materia prima agricola.
Anche l’ambito dei fattori “S” – Social presenta sfide rilevanti, legate per esempio alla tutela dei lavoratori lungo tutta la filiera, in particolare quella agricola, all’impatto dei prodotti sulla salute dei consumatori e sulla salute e condizioni degli animali. Temi centrali, strategici per il settore, che richiedono l’adozione di politiche di indirizzo e sistemi di misurazione accurati.
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