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Renato Soru travolto dai debiti “Vendo casa al nipote di Picasso”


Un’incantevole dimora incastonata nella meraviglia ambientale di Villasimius. Venduta per 15,5 milioni di euro a Richard Widmaier Picasso, nipote del celebre artista spagnolo Pablo. «Confermo, è tutto vero», dice Renato Soru, ex governatore sardo, imprenditore e fondatore del gruppo Tiscali. «Ho ceduto la casa perché devo onorare un debito che avevo contratto, nel passato, per aiutare la società. Dopo il 2010 avevo anticipato un aumento di capitale in uno dei tanti momenti di crisi dell’azienda».

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Una villa mozzafiato da 600 metri quadri immersa tra oliveti e vigneti con spiaggia privata affacciata sul mare turchese. Non le dispiace?

«Sì certo. Ma sono contento di aver venduto la casa a una persona che sa apprezzare un luogo simile e che saprà mantenere l’impegno di conservazione della natura, della biodiversità. Aspetti a cui tengo molto e che avevo portato avanti con quella proprietà».

È da un po’ di tempo che non la si vede in pubblico. Come mai?

«Negli ultimi anni ho avuto dei problemi di salute, in seguito a una caduta dalle scale di casa che mi ha lasciato delle conseguenze. Ora sto bene, comunque».

Come trascorre le giornate mister Tiscali?

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«Lavorando. Tre anni fa sono uscito da Tiscali, adesso sono alle prese con una società di sviluppo di software informatici. Oggi diremmo di “intelligenza artificiale generativa”. Partendo dalla costruzione di un grande motore di ricerca sulla lingua italiana e fornendo servizi per il mondo “business to business”. Da due anni stiamo facendo ricerca e sviluppo in questo ambito. Sono cose di grande importanza che spero a breve possano essere conosciute, in Italia e non solo».


La tenuta di Villasimius venduta per 15,5 milioni di euro a Richard Widmaier Picasso 

Dalle telecomunicazioni all’intelligenza artificiale?

«Purtroppo nel nostro Paese il mondo delle telecomunicazioni è andato a sbattere contro logiche di mercato che hanno messo in dubbio la sua stessa sopravvivenza. In passato eravamo all’avanguardia, poi un eccesso di “finanza predatoria” ha distrutto un’industria che avrebbe potuto essere fulcro di innovazione e ulteriori sviluppi di crescita per l’Italia. Invece, abbiamo vissuto la nascita dei grandi servizi web, quelli che chiamiamo “Over the top” (Ott). Ovvero, quei servizi che stanno sulla Rete ma non investono nella Rete. Al tempo stesso, però, grazie alla Rete hanno conquistato enormi platee di consumatori e sono diventati padroni del mondo. Mi riferisco a Google, Facebook, Amazon».

Nostalgia per un passato che non c’è più?

«Il web si è trasformato da un ambiente di libertà, come lo avevamo immaginato, a un formidabile creatore di nuovi monopoli che la politica non ha visto arrivare e che non è stata capace di regolamentare».

Riavvolgiamo il nastro. Come nacque Tiscali?

«Il mio incontro con internet è avvenuto molto presto, nel 1993, in modo quasi casuale. In quel momento il premio Nobel per la Fisica, Carlo Rubbia, era presidente onorario di un centro di ricerca che era stato istituito in Sardegna, il Crs4. È qui, alle porte di Cagliari, che è nato il primo sito web italiano (Crs4.it). Grazie al ricercatore Luca Manunza, invece, è nata pure la prima “web mail”».

Poi cosa accadde?

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«All’epoca lavoravo nella finanza, a Milano. Un giorno, mentre rientravo in Sardegna, ho preso tra le mani una di quelle riviste presenti negli aerei. E ho letto: “È nata Video On Line, con un click ti potrai collegare ovunque”. Ebbene, nell’annuncio c’era un indirizzo di Cagliari perché questa intuizione era di Nichi Grauso, editore che portò online il quotidiano L’Unione Sarda, primo in Europa. Ho intuito le potenzialità, mi sono presentato da Grauso e gli ho chiesto di poter diventare suo socio».

Quale fu la reazione di Grauso?

«In quel momento non cercava soci ma mi ha spinto a investire in altri Paesi, visto che aveva in mente di realizzare un consorzio europeo di “internet provider”. Così, dopo aver fatto qualche operazione immobiliare a Praga, volevo essere il primo a portare un’offerta internet in Repubblica Ceca. È stata un’avventura pionieristica. All’epoca l’Italia era collegata a internet con un unico cavo, da 2 megabit al secondo, tra Milano e New York. Dunque, mi sono impegnato per creare un collegamento tra Praga e Milano. Il router, nel capoluogo lombardo, era in via Manzoni, dove oggi c’è un albergo di Giorgio Armani».

Come andò a finire?

«Stavo per abbandonare il progetto, perché a Praga le linee telefoniche erano scarsissime. Poi, però, mi diedero 8 linee. È nata così la prima offerta internet in quel Paese. È stato un successo immediato, non senza difficoltà. Per portare avanti i servizi della mia società, Czech On Line, dovetti ricorrere pure a un vecchio satellite russo che mi ha garantito il collegamento tra Praga e New York».

Poi nel 1998 arrivò Tiscali…

«Decisi di vendere la Czech On Line a un fondo di investimento, o meglio a un “private equity” tedesco-americano. Con i soldi ricavati nacque Tiscali. Oggi per me questo resta un argomento doloroso. Ho lasciato Tiscali una prima volta nel 2004, per la politica, quando aveva 10 milioni di utenti. Era una società robustissima, ma quei cinque anni di mia assenza furono terribili. Con un’operazione sbagliata in Inghilterra perse circa 600 milioni di euro. Da allora ho cercato di risanarla, di accompagnarla verso un nuovo percorso. Ci ho provato nel 2010, quando ho pensato a una Tiscali capace di produrre servizi per gli smartphone. Gli amministratori successivi, però, avevano visioni diverse. Ora per me è un capitolo chiuso. Non ho alcun ruolo da tre anni».

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Quale bilancio traccia della sua vita professionale?

«Non ho realizzato quello che avevo sognato. Tuttavia, vengo da un piccolo paese come Sanluri. Ho girato il mondo, sono stato a tavola con due regine e un re. Ma soprattutto sono orgoglioso di aver dato lavoro a oltre mezzo milione di persone. E aver ispirato altre imprese con la mia esperienza».

Rimpianti?

«Forse avrei dovuto definire meglio il mio impegno, tra impresa e politica. Non c’è spazio per fare bene entrambe le cose».

A proposito di politica: con sua figlia Camilla ha fatto pace?

«Sì, abbiamo fatto pace ma la pensiamo in modo differente. Lei crede nel Campo largo (l’alleanza tra Pd e 5 Stelle, ndr), io non so più a cosa credere».

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